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Red 6 marzo 2017
Wild is the wind: apertura prorogata al 19 marzo
La mostra, a cura di Ivo Serafino Fenu, Antonio Manca e Walter Porcedda, in programmazione dal 23 dicembre 2016 nella Pinacoteca comunale “Carlo Contini”, a seguito del vasto consenso di pubblico e di critica, è stata prorogata fino a domenica 19 marzo


ORISTANO - La mostra “Wild is the wind, l’immagine della musica”, a cura di Ivo Serafino Fenu, Antonio Manca e Walter Porcedda, in programmazione dal 23 dicembre 2016 nella Pinacoteca comunale “Carlo Contini”, a seguito del vasto consenso di pubblico e di critica, verrà prorogata fino a domenica 19 marzo. La mostra è un omaggio a David Bowie ma, come si può constatare dal percorso espositivo, non è una mostra sull’artista scomparso nel 2016 quanto, piuttosto, alla sua concezione totalizzante e senza confini della musica e dell’arte. Ovviamente tale concezione non è solo sua, ma, in genere, e la mostra ne da conto, di gran parte delle tendenze artistiche e musicali dalla seconda metà del Novecento fino ad oggi, dalla beat generation alla pop art, nonché alle contaminazioni degli artisti visuali di ultima generazione che non disdegnano le ibridazioni con la musica, divenendo essi stessi musicisti, Robert Gligorov e ConiglioViola tra tutti.

La mostra, promossa dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Oristano, in collaborazione col Dromos Festival col patrizio della Fondazione di Sardegna, è stata resa possibile grazie alla disponibilità di collezionisti e gallerie d’arte: in primis Antonio Manca, cultore e collezionista quasi maniacale di tutto ciò afferisce alla beat generation con veri e propri cimeli e con la sua smisurata collezione di arte contemporanea che presta a musei ed istituzioni di mezzo mondo; la galleria Studio, la Città di Verona, la Galleria Pack di Milano, diversi collezionisti privati (Giampaolo Abbondio, Valentina Casolari, Virginio Maccarone, Demetrio Paparoni e Paola Vagabonda) e gli stessi artisti. Sono alcune opere inedite di Gligorov e di Roberto Pugliese e l’esposizione è divisa in due sezioni, la prima dedicata all’arte contemporanea, che si contamina e guarda al mondo della musica come fonte d’ispirazione e la seconda, che va alle origini del rock, attraverso i grandi eventi di massa che tanto hanno condizionato le generazioni del passato. Entrambe le sezioni sono, al di là, del grande salto temporale, legate dal filo conduttore e dalla seduzione del collezionismo, ora maniacale ora vissuto come un atto di riappropriazione, anche interiore, di un passato visto con nostalgia o ritenuto fondante per la cultura contemporanea.

La mostra, polimorfa e meticcia, proporrà una selezione di artisti internazionali contemporanei il cui percorso ha spesso oscillato e si è spesso ibridato con i linguaggi del rock, del Jazz e del blues più sperimentali e le avanguardie artistiche più trasgressive. Tra loro, solo per citarne alcuni, in bilico tra iperboli concettuali e visioni ultrapop, Robert Gligorov, Nicola di Caprio, Roberto Pugliese, Matteo Basilè e Coniglio Viola relazionati, con un salto cronologico che pare un’eternità, con alcuni padri nobili della Beat Generation, Allen Ginsberg e Robert Frank per tutti. Una mostra di artisti e di luoghi, di oggetti (tra i tanti, un biglietto d’ingresso al festival di Woodstock, la prima edizione del single Hej Joe di Jimi Hendrix, cammei di Allen Ginsberg e William S.Burroughs, un basso suonato e firmato da Sting o una chitarra firmata e suonata da Lou Reed) e di eventi, documentati, questi ultimi, da reportage e filmati che hanno fatto la storia della fotografia e del cinema, quali la serie di dieci foto di Bill Owens dell’Altamont Free Concert, tenutosi in California il 6 dicembre 1969, quattro mesi dopo il festival di Woodstock ed organizzato dai Rolling Stones a conclusione del loro tour americano. Ma se Woodstock è universalmente riconosciuto come l'evento simbolo e l'apice della generazione del flower power, Altamont, col suo epilogo violento, ha segnato “la fine delle illusioni” di un’intera generazione e si pone, pertanto, come plastica rappresentazione delle numerose utopie e delle altrettanto numerose cadute contro le quali si sono scontrate e si scontrano le nuove generazioni che, proprio nella musica, hanno trovato e trovano motivazioni, sostentamento e rappresentanza.

Pertanto, nella mostra convivono memorabilia di un passato prossimo oramai classificabile nell’archeologia del rock e dei primi movimenti di contestazione giovanile assieme alle più spericolate ricerche estetiche contemporanee, che si nutrono di ibridazioni crossmediali finalizzate a liberare i diversi ambiti artistici dai loro consueti recinti e dalle loro funzioni canoniche. Una dimensione cacofonica che, al di là del feticismo collezionistico che spesso caratterizza tali espressioni artistiche, attraverso la decontestualizzazione e la ricomposizione degli oggetti, delle forme e dei suoni, farà da superficie riflettente al caos e alla frantumazione individuale e sociale della contemporaneità, perché Wild is the Wind, come titola una celebre ballata di David Bowie. Artisti in mostra: Matteo Basilè, Edo Bertoglio, ConiglioViola, Anton Corbijn, Nicola Di Caprio, Robert Frank, Allen Ginsberg, Robert Gligorov, Timothy Greenfield Sanders, Larry Keenan, Agostino Mela, Bartolomeo Migliore, Gianfranco Mura, Bill Owens, Sebastian Piras, Richard Prince, Roberto Pugliese, Tito Sozzini e Robert W.O.Stone.
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