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Mariangela Pala 27 agosto 2016
Don Ciotti all´Asinara: «leggi e civiltà per lottare contro la mafia»
Prima delle leggi ci vuole la responsabilita´, l´uso consapevole della libertà di ciascuno di noi. «Giovanni Falcone ce lo ha insegnato: la lotta alla mafia è una battaglia di legalità e di civiltà. Per combatterla non bastano le leggi se prima non le abbiamo scritte nelle nostre coscienze». E’ il messaggio chiaro e diretto lanciato ieri da don Luigi Ciotti per la prima volta all’Asinara


PORTO TORRES - Prima delle leggi ci vuole la responsabilita', l'uso consapevole della libertà di ciascuno di noi. «Giovanni Falcone ce lo ha insegnato: la lotta alla mafia è una battaglia di legalità e di civiltà. Per combatterla non bastano le leggi se prima non le abbiamo scritte nelle nostre coscienze». E’ il messaggio chiaro e diretto che ieri don Luigi Ciotti per la prima volta all’Asinara, ha lanciato al pubblico presente. Ospite del campo “Estate Liberi” che l’associazione Libera (da lui fondata) organizza da cinque anni nell’ex isola bunker dove era detenuto anche Totò Riina, nella chiesa di Cala d’Oliva, don Ciotti ha parlato ai giovani provenienti da tutta Italia che in questa settimana stanno partecipando al campo di formazione e volontariato, ma anche ad oltre duecento volontari provenienti da tutta la Sardegna e aderenti ai presidi territoriali di Libera.

Preceduto dai saluti del referente di Libera Sardegna Giampiero Farru e dai rappresentanti dei comuni di Porto Torres, di Stintino e dell’Ente parco, quello di don Ciotti è stato un intervento lungo e appassionato, partito da una riflessione sui temi ambientali. «Venendo in quest’isola ho toccato con mano la responsabilità e il dovere che abbiamo di tutelare l’ambiente. Qui all’Asinara etica ed estetica si fondono, bene e bello si saldano assieme e assumono ancora più forza le parole di Papa Francesco che nella sua enciclica Laudato si' teorizza una ecologia integrale, la vera risposta alla crisi socio-ambientale che stiamo vivendo».

Don Ciotti non poteva restare insensibile al dramma del terremoto nell’Italia centrale e ha condiviso con l’uditorio una riflessione sul tema della solidarietà. «Mai come oggi nel nostro paese c’è una sproporzione tra la solidarietà dei singoli e la giustizia assicurata dalla nostra società. E questa sproporzione è una delle più grandi contraddizioni italiane, perché continua a crescere il divario tra ricchi e poveri. Ma questi ultimi non chiedono beneficienza, ma dignità e riscatto dal bisogno».

Come raggiungere questo obiettivo? «Abbiamo il dovere di educare alla responsabilità e alla condivisione: è il noi che vince. Ma se ancora dopo decenni stiamo parlando di lotta alle mafie, è evidente che qualcosa non torna. La storia ce lo dice: ci può essere una politica senza mafia ma non una mafia che può fare a meno della politica. Non solo: come già aveva capito don Sturzo, la mafia non è un problema relegabile a poche realtà territoriali ma è qualcosa di più complesso perché da sempre la mafia fa e continua a fare affari al nord».

Ciò che serve è dunque il coraggio di «registrare i cambiamenti, il primo grande dovere a cui siamo chiamati”, ma anche a “bonificare le parole, e la prima è legalità». Per don Ciotti «bisogna stare attenti che la legalità non diventi un idolo, perché abbiamo avuto leggi contro i migranti e contro i ragazzi che si perdevano nella tossicodipendenza. La legalità è solo un mezzo, il nostro vero obiettivo è la giustizia. Senza responsabilità, senza civiltà, senza educazione e lavoro, legalità rimane solo una bella parola». La lotta alla povertà è una priorità, ma «oggi in Italia a crescere è soprattutto la povertà relazionale. Sta aumentando il senso di solitudine a tutte le età, si vive accanto, ma non assieme, con i contatti relegati all’universo virtuale».

Don Ciotti ha poi avuto parole durissime contro il gioco d’azzardo, definito «una droga, l’eroina del nuovo millennio», e ha incitato tutti ad avere più coraggio: «I cittadini devono osare di più, per amore dei nostri ragazzi non dobbiamo assolutamente tacere. Mafia e corruzione son parassiti della nostra società e sono tornare forti e stanno tra noi. Ma non bisogna mai dimenticare le positività dei nostri territori, l’impegno quotidiano di tanti uomini e donne».

E si è congedato con i versi di David Maria Turoldo: «Voi che credete, voi che sperate, correte su tutte le strade, le piazze a svelare il grande segreto... Andate a dire ai quattro venti che la notte passa, che tutto ha un senso, che le guerre finiscono, che la storia ha uno sbocco, che l'amore alla fine vincerà l'oblio e la vita sconfiggerà la morte. Voi che l'avete intuito per grazia continuate il cammino, spargete la vostra gioia, continuate a dire che la speranza non ha confini».


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